Chester Bennington: tre anni dalla scomparsa

Rendiamo omaggio al cantante dei Linkin Park, venuto meno suicida il 20 luglio 2017

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Chester Bennington

Un cantante irripetibile

Chester Bennington, il cantante dei Linkin Park, una delle band più importanti di questi primi vent’anni di XXI secolo, si è tolto la vita esattamente tre anni fa. Per chi scrive, giovane uomo appartenente alla generazione dei cosiddetti Millennials, e per molti suoi coetanei, questo evento ha lasciato un solco profondo. Perché Chester era, almeno musicalmente parlando, una sicurezza.

Dal 2000, anno di uscita del fortissimo e fortunatissimo Hybrid Theory, a quel maledetto 20 luglio 2017 la voce del cantante originario di Phoenix, Arizona, era sempre stata una costante compagna di vita per tutti i ragazzi e ragazze adolescenti nei primi anni 2000. I Linkin Park erano i nostri fratelli maggiori, band facente parte dell’ultima ondata di artisti ancora gestiti musicalmente “alla vecchia maniera”. Un mondo che stava cambiando ma dove la musica non era ancora liquida come oggi e dove il CD e, soprattutto, la pazienza di ascoltarlo erano ancora un dato di fatto. 

Chester Bennington in concerto

Le origini musicali di Chester Bennington

Chester era nato il 20 marzo 1976. La sua infanzia e poi la sua adolescenza non furono delle più felici. Il divorzio dei genitori, le molestie sessuali subite da bambino da un ragazzo più grande nonché la caduta precoce nel mondo delle sostanze illegali hanno certamente alimentato la quantità infinita di demoni personali. Demoni trasferiti successivamente all’interno dei suoi testi.

La musica diviene quindi per lui una vera e propria ancora di salvezza. Dopo i primi inizi nel 1993, come cantante nei Sean Dowdell and his Friends e nei Grey Daze, nel 1998 viene contattato come nuovo cantante dagli Xero, band californiana che si sarebbe trasformata, da lì a due anni, nei Linkin Park. 

Demoni in musica

Sarebbe bastato ascoltare attentamente i testi di brani quali Crawling, One Step Closer e In The End per intuire che si trattasse dell’inizio della fine. Chester metteva la propria depressione cronica in tutto ciò che scriveva, nonché nel suo esplosivo e ben riconoscibile stile vocale. La musica era per lui una valvola terapeutica per sfogare e mitigare la propria sofferenza. Non esiste album dei Linkin Park che non sia impregnato di un continuo senso di inadeguatezza, smarrimento e disperata richiesta di aiuto.

Brani come Numb, Somewhere I Belong e Leave Out All the Rest dicevano già tutto, mettendo nero su bianco il perenne stato d’animo tormentato del cantate statunitense. Non è bastata una vita privata tutto sommato felice, con l’amore di Talinda Bentley e il suo nutrito gruppo di sei figli. Nemmeno il successo del gruppo messo insieme da Mike Shinoda, e del quale Chester era il simbolo indiscusso, ha affievolito i tormenti del cantante. La sofferenza pregressa era troppa e, a un certo punto, la musica da sola non è bastata più a contenerla. 

Chester Bennington come voce di una generazione disillusa

Chester è la voce dei Millennials, gruppo di individui nati alla fine del XX secolo e diventati grandi all’inizio del terzo millennio. Una generazione che è stata educata secondo paradigmi vecchi, i quali si sono sfaldati proprio mentre questi ragazzi e ragazze si stavano formando. Generazione tra le più istruite di sempre, sia nel nostro paese (nonostante la disarmante percentuale totale di laureati che è del 23% scarso) sia all’estero. Lavoratori affamati che, nonostante le enormi competenze a propria disposizione, hanno dovuto e continuano ad affrontare le pene dell’inferno per trovare un lavoro stabile. Persone educate a un mondo con delle certezze, queste ultime scioltesi come neve al sole durante la grande recessione del 2008. Generazione che ha dovuto reinventarsi, passando dal cartaceo alla rivoluzione digitale, e che si è ritrovata strettamente ancorata alla frustrazione e alla precarietà.

Chester Bennington in una delle sue caratteristiche pose durante i live dei Linkin Park

Tutte queste caratteristiche e il profondo senso di alienazione che ne deriva ha facilitato senza dubbio l’immedesimazione di questa generazione al messaggio di Chester Bennington. Chester non era solo un cantante ma un vero e proprio fratello maggiore, qualcuno che condivideva le nostre paure, i nostri timori e tutti i fantasmi adolescenziali che stavano attraversando la nostra vita. Nonostante il messaggio di sofferenza, la musica dei Linkin Park era capace di lasciarci dentro una piacevole sensazione di speranza, un po’ come quella catarsi allopatica che Aristotele proponeva in ambito medico ancora millenni or sono.

Chester non è riuscito a salvarsi da se stesso ma ha salvato tutti noi nati a cavallo tra i due millenni, rendendoci infinitamente più sopportabile e meno deprimente un periodo tra i più bui della storia dell’uomo. 

Il nostro perpetuo saluto

Poche settimane prima di morire, Chester e i Linkin Park si erano esibiti all’Autodromo Nazionale di Monza, nel contesto dell’I-Days Milano, nel pieno del tour di supporto al loro ultimo album One More Light. Vogliamo salutare e ringraziare di cuore il nostro sfortunato fratello maggiore con il video di questo concerto, augurandogli, ovunque egli sia, di aver finalmente trovato la propria pace.

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