Chelsea Wolfe – Birth of Violence | recensione album

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Che Chelsea Wolfe sia uno delle migliori cantautrici in circolazione non lo si scopre certamente oggi: l’artista americana è riuscita nell’arco degli anni a scrollarsi di dosso sterili paragoni, in modo da dare vita ad un suond estremamente personale. La voce notturna, le atmosfere bucoliche e intense, l’apocalyptic folk. Questo ci aspettiamo da una grande artista come Chelsea Joy Wolfe.

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Chelsea Wolfe

L’ultimo disco Birth of Violence non ha fatto altro che far felici gli avidi mangiatori di atmosfere goth e solitudine notturna. Elementi che Chelsea non solo coagula in un modo spettrale e alquanto magnetico, ma riesce anche a mescolare tutte queste componenti in modo da renderle del tutto trasformate: ogni residuo vocale ha il compito di scrivere la colonna sonora perfetta di una notte desolata e alcolica. La cantautrice anche in questo nuovo episodio si affida alla produzione dell’esperto Kurt Ballou (chitarrista dei Converge), al fine di rendere le proprie composizioni pregne e “compatte” sebbene siano marcate da quella tensione asciutta e stilosa tipica del classic folk. Ma Wolfe, come abbiamo detto, ha ormai coniato un proprio codice stilistico tant’è che pare inutile cercare di scovare paragoni o scomodare nomi tinti di rosa del passato (Siouxsie Sioux o Nico, per fare due nomi).

L’album inizia con una doppietta scoppiettante: The Mother Road e American Darkness. Soprattutto quest’ultima può addossarsi la responsabilità di essere un nuovo classico della cantautrice. L’arrangiamento, spoglio e pulito, è estremamente perfetto per la voce sognante dell’artista; il brano è un autentico manifesto dell’oscurità della folk singer.

Si prosegue con Deranged for Rock & Roll, traccia corredata da un video officiale, in cui la musicista di Sacramento, con una chitarra acustica in mano, spara con la sua solista eleganza le prime note macchiate qua e là da schegge noise e drone, immerse in un’intimità cara al miglior Mark Lanegan. La traccia evolve nel finale con un crescendo che eleva ancora di più la strofa principale (I’m deranged for rock n roll / Drink my dreams and sell my soul / I’m deranged for rock n roll). Per addentare una malinconica Chelsea degna di Apokalypsis o Pain is Beauty basta premere play nella favolosa Be All Things, traccia che trasuda un songwriting stellare e di una verve che più poetica non si può. Qui la Wolfe fa capire al suo auditorio che crescere è nelle sue corde, nonostante le solite soluzioni arpeggiate dominano i minuti di questo brano. Catchy ma assolutamente particolare, folk nella sua massima accezione.

Le successive Erde e When Anger Turns Honey premono molto di più, facendoci capire che la produzione di Ballou ha sempre una carica di groove degna di nota. Per concludere la descrizione del lotto dei brani, segnaliamo Dirt Universe, il brano più lungo del disco, dotato di un’atmosfera assolutamente da provare, e Little Grave, un microcosmo ricolmo di introspettività.

Non sarà il miglior lavoro di Chelsea Wolfe, ma questo Birth of Violence ha i suoi motivi per essere considerato un grande album, oscuro e dannatamente attraente. Un ottimo manifesto della maturità più che confermata della musicista di Sacramento.

8/10

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Tracklist:

1.“The Mother Road”4:20
2.“American Darkness”4:48
3.“Birth of Violence”4:20
4.“Deranged for Rock & Roll”3:31
5.“Be All Things”4:20
6.“Erde”3:31
7.“When Anger Turns to Honey”3:09
8.“Dirt Universe”4:36
9.“Little Grave”3:22
10.“Preface to a Dream Play”3:52
11.“Highway”2:50
12.“The Storm”

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