Bonnie Tyler The Best Is Yet To Come | La Recensione

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Bonnie Tyler, copertina di The Best Is Yet To Come

Una collezione di citazioni retro, power pop fangoso e alcuni sporadici momenti di scintilla rock. Il ritorno di Bonnie Tyler si chiama The Best Is Yet To Come, ma non fa che ricordare che il meglio c’è invece già stato. Pur non essendo, anche solo per l’esecutrice, mai offensivo.

Come funziona per Bonnie Tyler The Best Is Yet To Come?

Se si riesce a superare l’inquietante caricatura di lei stessa che la raffigura sulla copertina, si scoprirà che Bonnie Tyler si è dedicata ben bene al suo ultimo lavoro The Best Is Yet To Come. Non abbastanza, però, per permettere al lavoro di superare la trappola in cui tendono a ricadere i grandi veterani della musica: adagiarsi sugli allori. E finire, come è successo proprio alla cantante di Total Eclipse Of The Heart, a basarsi solamente sul proprio status di star iconica per far funzionare un lavoro. 

Così si è mossa Bonnie Tyler, ed è di questo handicap che The Best Is Yet To Come soffre. Per buona parte della sua durata emerge come un pastiche di rock classico sicuramente piacevole, ma allo stesso tempo privo del bagliore dei lavori originali. Perché la Bonnie Tyler originale la conoscono tutti, e chi si avvicina a un suo nuovo album deve avere almeno un’infarinatura del genere. Non sente, ahilei, il bisogno di una sua versione nostalgica. 

Rock troppo pesante

Bisogna rendergliene sicuramente merito, non è un album orrendo. Non poteva esserlo, data la sua interprete. Bonnie Tyler non ha dimenticato i suoi punti di forza: la carica emotiva, cruda e diretta, e li incanala direttamente in The Best Is Yet To Come. La frustrazione e il rimorso che trasmette sono forse gli unici campi in cui la sua età matura rappresenta un vantaggio a livello vocale. Il tempo la arrochito la sua voce, l’ha fatta aspra e grezza e perfetta per esprimersi in “ringhiate” più dirette e forti, Tracce come Stuck To My Guns, che caricano un po’ il metronomo e lasciano che sia la melodia a guidare il fulcro della faccenda, rappresentano i punti più alti dell’album. 

Il resto rimane soprattutto sospeso a metà, tra ballate soft-rock così pesanti da trascinarsi e la voce della Tyler che graffia contro il microfono con poca spontaneità. Veramente poco acuta, inoltre, la scelta di titolare Somebody’s Hero una delle tracce più dimenticabili e meno ispirate dell’album, qualcosa che andrebbe bene verso la fine di un album di Rachel Platten. I paragoni con l’iconica Holding Out For A Hero si sprecano, e non senza motivo. o anche solo con la traccia seguente, Call Me Thunder, una delle poche in cui il sacro fuoco del rock rimane acceso nell’artista.

Un regalo di compleanno di Bonnie Tyler a sé stessa e ai fan che ancora le vogliono bene, per i suoi settant’anni: questo è The Best Is Yet To Come. Sospeso in quello scomodo limbo tra Fetch The Bolt Cutters e il tentativo da solista di Steven Tyler, l’album accenna a sollevarsi da terra, ma non vola mai del tutto. Forse non dovrebbe, chissà. 

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