Andrea Strange: “Scrivo per esigenza”

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Andrea Strange: cover

Andrea Strange è un cantautore dalla penna tanto raffinata quanto incisiva. Il suo ultimo singolo, “Mi piove nella birra”, è una critica tagliente e ironica che mira a farci riflettere.

Quando nasce musicalmente Andrea Strange?

“Io sono nato nella musica e devo ringraziare i miei genitori, grandi appassionati. Mi hanno raccontato che avrei iniziato a cantare ancora prima di parlare, un giorno che eravamo in macchina. All’epoca avevo un anno e in radio passava Dream On degli Aerosmith. A quanto pare mi sarei tolto il ciuccio per urlare a squarciagola la parte in cui Steven Tyler fa quegli acuti incredibili. Crescendo, poi, mi sono innamorato della musica di Battisti e De André, della lirica che avevano, e ho cominciato a scrivere. Poi nell’adolescenza ho scoperto il punk, ho iniziato a suonare la chitarra e ho messo su un gruppo col quale facevo punk e grunge. E poi la vita cambia e oggi mi ritrovo a fare altra musica, ma credo si percepiscano ancora i retaggi del passato”.

La tua musica nasce perciò dal punk, attraversa il cantautorato e approda all’indie. Racconta un po’ questa parabola.

“È merito di un insieme di fattori. L’arte è il prodotto delle esperienze che l’artista vive. Nel mio caso, da ragazzino avevo un gruppo punk col quale suonavo, poi mi sono trasferito e, ritrovatomi da solo, ho cominciato a scrivere canzoni e a fare seratine per conto mio. Questo mi ha portato ad abbracciare il cantautorato, anche se mi piace pensare di non aver perso nulla di ciò che ho imparato durante il mio percorso. Non ho abbandonato le mie radici, ma le porto con me nella mia musica. Una musica che possiamo definire indie, questa macrosfera che, più che indipendente, sarebbe giusto chiamare indefinita. Ecco, io faccio parte di questa macrosfera nella quale coesistono moltissime realtà”.

Tu sei cresciuto nelle campagne dei Castelli Romani e di quei luoghi ti porti dietro le suggestioni naturali che, in qualche modo, hanno influenzato la tua musica.

“I Castelli sono particolari, magnifici e deliziosi, immersi nella natura. La terra e gli animali sostituiscono il cemento e le macchine. Sono contento di averci passato l’infanzia, anche se ho avuto a che fare con mentalità molto chiuse. Ho vissuto contesti non proprio raccomandabili e queste esperienze adolescenziali hanno creato in me una certa dualità: da una parte l’amore per la natura e dall’altra il disagio di certi contesti. E questa dualità fa oggi parte di me e della mia musica. Spesso, nelle mie canzoni, parlo in maniera ironica di qualcosa che mi fa male o scrivo testi tristi smorzati da melodie allegre”.

Questa dualità di cui parli è lampante nel tuo ultimo singolo, Mi piove nella birra, brano ironico ma anche drammatico. In questa canzone sei riuscito nell’impresa di razionalizzare e mettere in musica un disagio comune a molti.

“Tra l’altro il brano nasce da una situazione goliardica. Una sera ero a un concerto con degli amici, eravamo all’aperto, comincia a piovere e un mio amico mi fa: ’Andiamo via, mi piove nella birra’. La frase mi è piaciuta talmente che ho detto: ‘Ci scriverò su una canzone’. L’ho detto scherzando, ma poi l’ho fatto davvero. E anche se il brano nasce da un evento goliardico, mentre scrivevo mi sono venute in mente immagini più drammatiche che ho descritto attraverso una storia”.

Una storia nella quale mescoli, con innata maestria, scene di vita ordinaria a immagini evocative e dal forte impatto emotivo. Dove hai imparato a scrivere così?

“Ho imparato osservando il mondo e ho notato che spesso si dà peso a cose che, guardando il disegno generale, non hanno tanta importanza, e si finisce per ignorare cose davvero importanti. Siamo, ad esempio, tanto turbati dal traffico in tangenziale quanto dal fatto che ci sia gente che muore di fame. Questa cosa mi ha sempre un po’ infastidito e ho pensato di esternarla attraverso immagini feroci, che puoi ritrovare nel testo della canzone”.

Il brano è arrivato 2° al Premio Fabrizio de André. Un risultato del quale sarai orgoglioso.

“Sono molto contento del risultato, soprattutto pensando a tutto il lavoro che c’è dietro. Ovviamente non me l’aspettavo. Quando mi hanno informato che ero in semifinale, neanche ricordavo sarebbero uscite le graduatorie, Mi è parso tutto così bello, così grande… tant’è che nella mia testa si è svolto tutto molto velocemente. È stata un’emozione forte, difficile da descrivere. Tra l’altro, in questa edizione c’era un livello di qualità davvero altissimo e non avevo grandi aspettative sin dall’inizio. Quando sono arrivato in finale e ho suonato su quel palco meraviglioso, davanti a pubblico e giuria, è stato fantastico. Già quello mi ha arricchito e mi sarebbe bastato”.

La musica indipendente si fa spesso veicolo di messaggi socialmente impegnati. Anche la tua musica va in quella direzione?

“Secondo me si può scrivere in due modi: per creare una canzone che funzioni, e c’è del merito anche in quello, o perché senti qualcosa che hai necessitò di tirare fuori. Io parto sempre da un’esigenza. Scrivo ciò che sento e vomito sul foglio ciò che dentro occupa troppo spazio. Scrivo ciò che vedo del mondo. Può essere una critica sociale, qualcosa che riguarda me o la storia di qualcun altro, ma in ogni caso non decido a tavolino il messaggio che voglio mandare. Sicuramente alcuni tipi di musica sono più propensi a mandare messaggi sul sociale, ma non deve diventare un’etichetta”.

Mi stai dicendo, in altre parole, che deve partire tutto dalla spontaneità.

“L’arte vera, che non mira a fare business, deve nascere dalla spontaneità. Se poi la tua spontaneità sta nel parlare di cosa hai fatto ieri, di quanto sei innamorato o delle cose che non ti piacciono del mondo, poco importa. Se sei spontaneo, le cose funziona sempre meglio. Lo scopo ultimo dell’arte è trasmettere delle emozioni, farle provare a qualcuno. E se tu metti nella tua arte quello che provi, c’è una probabilità maggiore che chi ti ascolta provi qualcosa”.

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