Presentazione MOTUS IN TERRA
“Perché credetemi .. il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”. Questa citazione firmata da Sandro Pertini, dopo il terremoto che devastò l’Irpinia nel 1980, esprime l’essenza dello spettacolo messo in scena dalla marchigiana purosangue Alessia Bedini, attrice talentuosa e da anni protagonista dei palchi milanesi. L’attrice, il terremoto, che poi colpì le Marche ed altre regioni, un paio di anni fa, lo ha vissuto veramente, assieme alla sua famiglia, ma soprattutto a livello emotivo, al punto da scrivere e interpretare un emozionante spettacolo teatrale, che affronta temi universali quali: responsabilità, solidarietà e rinascita personale. MOTUS IN TERRA -tragicommedia sismica, questo è il titolo della rappresentazione, è stato infatti rappresentato al Teatro Linguaggicreativi di Milano, con un ottimo consenso di pubblico, il 21 ottobre, e si appresta a calcare le scene dei teatri italiani sensibili a un tema che non deve essere lasciato all’oblio del tempo. Lo spettacolo oltre ad aver debuttato a Pisa ed essere stato replicato nelle Marche, che ancora vivono le conseguenze del sisma, sarà presto rappresentato a Trisungo di Arquata del Tronto, tra i terremotati; il prossimo 28 ottobre.
Contenuto
Lo spettacolo, nonostante il tema importante che affronta, riesce ad essere molto emozionante e nel contempo esilarante, grazie all’abilità trasformista di Alessia Bedini, che, sola sul palco, interpreta diversi personaggi, testimonianza di chi il terremoto lo ha veramente vissuto: gente comune che troppo spesso non viene ascoltata e che, da un momento all’altro, ha affrontato, oltre al nulla lasciato dal sisma, i meccanismi improbabili e terrificanti della burocrazia italiana, della comunicazione giornalistica incompleta e forse di una troppo spesso falsa o discutibile solidarietà. Si tratta di un percorso delicato e difficile, dove sorridere certo non sembra possibile, ma l’attrice riesce comunque ad alleggerire il tema grazie anche all’utilizzo di diversi dialetti marchigiani, non marcandoli, per rendere il testo il più possibile comprensibile e raggiungibile. Bedini ha preso spunto infatti dalle testimonianze dirette da lei stessa ricercate sul territorio e che si possono ascoltare in scena. Recita l’attrice“La terra nostra è ‘nda ‘na femmena graveda, che cresce e cresce…e puó se rópp’, ma nésciuna penza che è cattiva perché dà vita a ‘na forma nova…” Ed ecco che l’attrice diventa Mariuccia, una simpatica e ironica signora marchigiana che con il suo Mariuccio, si rimbocca le maniche per ricostruire la sua vita da capo, tra tante difficoltà e molte speranze. Mariuccia è un po’ naif, ma dallo spirito combattivo, al contrario del marito che stanco delle troppe delusioni ricevute dalle “complicanze burocratiche” preferisce farla finita, cosa effettivamente accaduta a diverse persone, nei luoghi colpiti dal sisma e che hanno infatti scelto la via della morte dopo aver perso tutto: casa, affetti, lavoro. Bedini si trasforma poi in un muratore dell’est che discutendo con il suo vicino, anziano manovale italiano, si compiace del fatto che le case che hanno costruito non siano mai state intaccate, perché chi conosce veramente il suo mestiere le case non le fa crollare. L’attrice indossa poi i panni del politico di turno, una donna affranta per l’accaduto, che nonostante gli sforzi fatti per riportare la situazione alla normalità, (dove possibile), deve comunque prendere atto che il numero di morti naturali è molto cresciuto nell’anno successivo al sisma. Infine, si entra nella zona del cratere, dove un’ultima testimonianza ha perso tutto e ha visto morire le persone care. E’ a questo punto che si arriva profondamente al cuore dei contenuti della rappresentazione, parlando dell’aiuto dei volontari, ma anche della falsa solidarietà dei social, della formalità istituzionale e del senso di appartenenza della gente del posto che vive per la propria terra. Di fatto tutti sanno o dovrebbero sapere, che la Terra si muove a prescindere, ma soprattutto che sta a chi costruisce averne consapevolezza: il “motus in Terra” non è un evento eccezionale, ma ha sempre convissuto con l’uomo.
Considerazioni
Bedini conclude lo spettacolo con una bellissima “danza” finale, “un motus in Terra”, accompagnata dall’esecuzione della sublime “Ombra mai fu” dal Serse di Hendel, e dall’audio di quelle testimonianze che nel terremoto hanno voluto vedere un atto di trasformazione e di resilienza. l’artista centra così perfettamente l’obiettivo di dar vita a una rappresentazione che sia soprattutto un messaggio di umanità collettiva, per non dimenticare i territori terremotati e da non lasciare morire nel dimenticatoio dell’indifferenza. Vuole poi, riuscendoci perfettamente, stimolare ciascuno di noi a conoscere la verità oltre ciò che i media raccontano. Le Marche quindi diventano simbolo di tutti i terremoti che ci hanno colpito, da quello che ha raso al suolo la splendida L’Aquila, città un tempo simbolo di arte e storia, a quello dell’Emilia, fino al sisma di Amatrice, che non esiste più, e dei tanti paesi del centro Italia, che sono ancora purtroppo un cumulo di macerie, e di quelli che lo potrebbero purtroppo diventare se non si cambia modo di pensare.
Lo spettacolo, oltre alla recitazione e regia di Alessia Bedini, si avvale di ottimi collaboratori. Come aiuto regista ricordiamo Valentina Rho, all’audio Andrea Lambertucci e Maurizio Capisani. Le luci sono di Luca Rodella, i costumi di Simona Cavalli, le foto di Pierluigi Giorgi Residenza la Casa di Amleto, International Artists Residence- Bressana (PV). La produzione è poi dell’associazione culturale Wokart. Hanno collaborato inoltre l’attrice Debora Mancini che ha dato voce al “Diario di una terremotata”, e il Laminae Cantus Duo con Emanuele Cedrone alla melodiosa e Patrizia Rossi al pianoforte per l’arrangiamento e l’esecuzione del toccante brano di Hendel.