Jaboni: “Celebriamo la nostra unicità”

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Jaboni: cover

“Heads Up”, il terzo singolo di Jaboni, è un inno pop alla diversità: la celebrazione di uno status quo che la Natura stessa ci insegna a valorizzare.

Quando ci siamo sentiti l’ultima volta era appena uscito “Endless Time” e mi dicesti che stavi lavorando a un progetto più ampio. Questo nuovo brano fa parte di quel progetto?

“Esattamente. I primi due singoli [Endless Time e Love Comes Back to Me] e questo ultimo, ‘Heads Up’, fanno parte di un progetto che voglio svelare brano per brano, prendendomi il tempo che occorre tra un brano e l’altro. È la prima musica che pubblico e voglio valorizzare ogni singolo pezzo”.

Sbaglio o questo singolo ha un taglio più pop rispetto a “Endless Time”?

“Ha sicuramente un’anima più dinamica, mentre i primi due singoli erano legati ad armonie da colonna sonora. Ad ogni modo, sebbene ‘Heads Up’ abbia un taglio più contemporaneo rispetto ai precedenti brani, l’intero progetto ha una sua coerenza stilistica”.

È infatti sorprendente come ogni tua canzone contenga un microcosmo a sé stante e come esso si armonizzi bene con quelli degli altri brani sino a creare un unico macrocosmo.  

“Ti ringrazio, è un’immagine molto bella quella che hai delineato”.

Da dove sei partito per tracciare il microcosmo di “Heads Up”?

“L’ispirazione per il brano è nata da degli scritti che compongo in momenti random della giornata. Ho cominciato a mettere per iscritto alcune riflessioni, piccoli spaccati di vita che appartengono al mio passato. Avevo voglia di raccontare le difficoltà avute in adolescenza, quando non riesci a esprimere te stesso come vorresti perché condizionato dal pensiero o dai giudizi altrui. Ho perciò scritto un inno, nel quale invito chi mi ascolta a non farsi condizionare e a vivere la propria esistenza così com’è. Noi siamo quello che siamo e questa è una condizione che va sempre celebrata”.

“Siamo i sogni che avevamo quando eravamo bambini” è la frase che apre il brano. Quali erano i tuoi sogni di bambino?

“Mi fa piacere che citi questa parte, perché è una di quelle che mi rappresenta di più. Il tema del bambino è qualcosa che nella mia musica è molto presente e ti anticipo che lo ritroveremo anche nei prossimi brani. Un sogno che avevo da bambino, e che si sta realizzando, era ed è quello di fare musica. La musica è sempre stata per me un regalo grandissimo, un sogno che nutre il mio bambino interiore”.

La tua “Heads Up” contiene un messaggio cardine: impara ad amarti e sii fiero della tua diversità. Ma come possiamo imparare ad amarci?

“È difficile imparare ad amarsi perché i condizionamenti sono veramente tanti, soprattutto oggi. Merito anche dei social. Girano troppi giudizi che ti condizionano e che poi vanno a etichettare le diverse personalità. Dovremmo cercare di fregarcene, perché quello che conta è quello che siamo. E quando riusciremo a capirlo, potremo vedere la vita da una diversa prospettiva, amarla e amare gli altri. Non è facile, ma credo sia questa la strada giusta”.

Perché la diversità spaventa?

“Spaventa perché rompe uno schema predeterminato. Ma la natura ci insegna la diversità. Nessuna cosa in natura è uguale a se stessa, anche se noi interpretiamo spesso le diversità come difetti. E invece non lo sono. Anzi, certe diversità valorizzano la persona. Quando diventeremo consapevoli di questo, allora conquisteremo qualcosa di importante”.

La necessità di etichettare le persone in categorie, da dove ci viene e a cosa ci serve?

“Serve a farci sentire tranquilli. Quello che etichettiamo sta in un altro cassetto, in un’altra zona che non ci riguarda. Io etichetto qualcosa che non fa parte di me. Pensiamo alla storia, alle lotte per l’uguaglianza e ai problemi che certe minoranze ancora oggi hanno. Alla fine il discorso è sempre quello e le etichette non aiutano. Pongono gli uomini in categorie diverse, con principi diversi, e questo è sbagliato”.

Come vive Jaboni la sua diversità?

“Attraverso l’arte, che è un veicolo molto importante. L’arte dà voce alle diversità, al proprio essere. Chi fa arte è facilitato, perché riesce ad esprimere le proprie diversità. Che poi diversità non è la parola giusta, perché siamo tutti diversi da tutti. Unicità è più calzante. La parola diversità assume, ora come ora, un’accezione negativa”.

Nel ritornello tu canti “We are who we are now”. A me pare che quel now faccia tutta la differenza del mondo. Sbaglio?

“Sottolinea l’importanza del momento. Noi siamo quello che siamo e se dobbiamo cambiare, sarà solo perché lo vogliamo e non perché la società ce lo impone con i suoi condizionamenti. Nella frase successiva dico: ‘Nessuno fermerà la nostra marcia’, e cioè nessuno ci impedirà di essere come siamo. Anche il titolo della canzone contiene lo stesso messaggio. ‘Heads Up’ ha una doppia valenza: ‘Tenete alta la testa’, e cioè siate fieri di quello che siete, e ‘fate attenzione’. Infatti lo dico nel brano: ‘Fratello alza gli occhi, sorella alza la testa’. Dobbiamo stare attenti perché è molto labile il confine oltre il quale la società vuole spingerci”.

Ora che i live non sono più un miraggio, come porterai dal vivo una musica come la tua che a tratti esplode in tutta la sua epicità?

“Tutti i miei brani hanno una veste anche acustica e sto pensando di alternare arrangiamenti con solo piano e voce a situazioni nelle quali mi avvalgo di una band. Sto programmando alcune date a Roma, all’interno di manifestazioni canore, ma non c’è ancora nulla di ufficiale per il momento”.

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