Tool – Fear Inoculum | recensione album

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Dopo ben 13 anni i Tool finalmente sono tornati con un nuovo parto discografico; più sperato della scesa in terra di Nostro signore. Fear Inoculum è infatti uno dei dischi più attesi del 2019, e come da tradizione per i grandi ritorni discografici, è stato condito da una suspense a dir poco cinematografica.

I Tool, dal canto loro, hanno passato questo abbondante decennio tra cause legali, annunci fake, rinvii e smentite su smentite; ma nonostante tutto noi siamo qui, curiosi e pronti per addentare un disco che si propone dettagliatamente particolare. Del resto sono i Tool, una band nata e cresciuta nel segno della sperimentazione e della voglia disarmante di aprire varchi temporali appena un intruglio di chitarra o una giocata di basso bussa alla nostra porta.

Fear Inoculum: questo è il titolo che i Nostri quattro musicisti hanno architettato per esaudire i desideri dei milioni di fans sparsi in tutto il globo terracqueo, da sempre estremamente esigenti con la loro band. E questo non ci sorprende più di tanto in quanto chi conosce il passato dei losangelini sa’ che hanno sempre cercato di costruire impianti sempre estremamente innovativi. E ora, accadrà anche in questo nuovissimo Fear Inoculum?

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Maynard James Keenan

Il disco si presenta come un autentico monolite sonoro: 10 canzoni (nella versione digitale) per 1 ora e 19 minuti di musica totale; in pratica un mondo a se’ stante che ha come proprio nucleo le esaustive composizioni della premiata ditta formata da Danny Carey (batteria), Adam Jones (chitarra), Justin Chanchellor (basso), e per finire l’uomo di punta, lo sciamano con in mano la pozione magica che rende la musica tooliana cosi speciale: Maynard James Keenan. Quest’ultimo non ha dimenticato l’ultima prova con i suoi A Perfect Circle, tant’è che il comparto vocale rimembra in alcune sezioni ciò che ha offerto in Eat The Elephant; e questo non è assolutamente un male, anche se alla lunga va ad impattare, seppur minimamente, in maniera diversa rispetto a come i Nostri ci hanno abituato nelle precedenti release.

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Ma non preoccupatevi, i muri di suono, le stesure progressive e le ipnosi percussive sono presenti anche in questo quinto sudato lavoro. La titletrack, ricordiamo singolo del disco, apre subito con la politica dei Tool che ben conosciamo, con una introduzione distorta e volutamente magnetica. Un brano apripista perfetto, in cui la valenza strumentale, tra sussulti percussionistici a là Reflection e trame ambient, regala momenti molto incisivi. Cosi come sono interessanti i momenti che vengono sprigionati dalla mastodontica Pneuma: traccia astrusa e articolata che vede di nuovo i 4 americani dare sfogo alla loro creatività innata; l’introduzione ricorda Schism, l’incedere batteristico di Carey contorna il tutto dando una mano a costruire la verve filosofica dei losangelini; dall’altro canto la chitarra di Jones e il basso di Chanchellor fanno vedere la loro presenza con un’efficacia e con un’abbondanza che fa quasi paura. Insomma, le prime due tracce sono surreali e immaginifiche; anche se in queste si percepisce che la voce di Maynard abbia perso molto della violenza degli album precedenti; ma nonostante tutto è innegabile che ogni tassello sia perfettamente inserito in un quadro generale ottimale. Pneuma nella seconda parte regala momenti progressivi di una forte intensità, cosicchè i Tool ci ricordano che intendono andare oltre il seminato da loro stesso creato.

Dopo una introduzione ambient di due minuti, Litanie contre la Peur, ad accoglierci è Invincible, già presentata in sede live. Questa quarta traccia si presenta leggera come una piuma, puntellata dalle percussioni di Carey scandite secondo tempi alieni; e qui Maynard spara il suo mood introspettivo, in modo da rendere speciali le incursioni di basso di Chanchellor. Jones alimenta questo fuoco con una predisposizione tra l’atmosferico e il progressivo, nel termine più manieristico possibile: questi sono i Tool del 2019, autentici padroni del mondo da loro architettato. I cambi di tempo non si contano, il riffage nel bel mezzo della traccia ricorda per sommi capi Jambi mentre in tutto questo Danny Carey dimostra al mondo intero di provenire da qualche altra galassia; in poche parole questa Invincible, con la sua ricchezza di trame, permette la generazione di un dualismo tra creazione e distruzione che farebbe vergognare gli artisti decostruttuvisti di mestiere. Non è da meno anche Descending, traccia che come la precedente già era stata esposta in sede live nell’ultimo tour dei Tool. Anche qui le parole si sprecano, 13 minuti e 40 secondi di pura estasi musicale, talmente pregna da risultare anacronistica per il nostro tempo. L’intro e Maynard ci danno la mano per portarci in un altro micro-universo perfetto, e matematicamente esaltante; Adam Jones, come un artigiano, riff dopo riff, pizzicata dopo pizzicata, pazientemente ci descrive cosa sia il trascendentale; nel mentre Maynard corona tutto ciò con una voce che qui è perfettamente impastata con tutte le poliritmie proposte. L’album potrebbe finire anche qui, ma i Nostri, consapevoli del loro strapotere tecnico, avanzano inesorabili regalandoci due perle finali, escludendo i due intermezzi ambient: Chocolate Chip Trip e Mockingbeat.

Queste due tracce sono Culling Voices e 7empest. La prima spazia tra umori minimalisti e d’ambiente , per poi sfociare in una delle dichiarazioni più riflessive che i Tool mettono sul piatto; qui la particolarità è l’assenza iniziale di Carey: il batterista interviene solo dal sesto minuto in poi regalando un’altra prestazione da 10 in pagella. La seconda, 7empest, con i suoi 15 abbondanti minuti, se la gioca per portare a casa il premio di migliore traccia di Fear Inoculum.  Il brano viene “battezzato” violentemente da un riff distorto ed effettato nei pressi del secondo minuto in modo da rendere il tutto gustosamente progressivo; questa è una delle composizioni in cui Keenan mostra la sua voce più violenta e azzannatrice; una voce che si sposa a meraviglia con i riffs di Jones, come sempre assoluto motore del Tool-sound: il chiarrista dell’Illnois non si spreca troppo facendo capire che tutti i 13 anni sono stati opportunamente ripagati.

Fear Inoculum è un disco pregno di idee e di concetti. I Tool fanno vedere che la gestazione più che decennale ha portato a risultati musicali più che importanti; Maynard, nonostante non sia più il cantante di Aenema e Lateralus, esibisce il suo temperamento da leader mostrando la via a quei mostri di talento che sono Carey, Jones e Chanchellor. Quindi, in conclusione, parliamo di un capolavoro? Purtroppo no, vero è che come compongono i Tool nessuno, ma questo disco non apporta novità cosi mostruose ad un sound già estremamente maturo e futuristico.

Ci aspettavamo un gran ritorno da parte dei Tool e noi lo abbiamo ottenuto con un seguito di quel 10.000 Days che già sembrava la summa espressiva di una carriera più che ventennale. Un plauso specifico, infine, va fatto alla spettacolare produzione di Joe Barresi, già collaboratore con i Tool nel disco precedente del 2006.

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9/10

Tracklist:

1. Fear Inoculum
2. Pneuma
3. Litanie contre la Peur (Bonus)
4. Invincible
5. Legion Inoculant (Bonus)
6. Descending
7. Culling Voices
8. Chocolate Chip Trip
9. 7empest
10. Mockingbeat (Bonus)

Lineup:

Maynard James Keenan (Voce)
Adam Jones (Chitarra) 
Justin Chancellor (Basso)
Danny Carey (Batteria)

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