Inna Cantina: A piedi nudi il nuovo album – Intervista

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Sono gli Inna Cantina con il loro ultimo album A piedi nudi i protagonsiti di questa nuova intervista per PeriodicoDaily.

Questo gruppo, formato da Gianmarco Amatucci aka Jimmy, Riccardo venturini aka lentu, e Viola Rossi, è sulle scene da qualche tempo, tant’è che il disco preannunciato dal singolo Non svegliarmi è già il terzo nella loro carriera.

La musica che presentanto in questo album non si discosta molto dalle loro sonorità ormai note a coloro che seguono questo gruppo: il reggae è sempre fondamentale nella loro produzione, ma l’attenzione di Marco “Magista” Evangelista, che ha seguito la produzione artistica di questo gruppo, ha di sicuro aiutato questo gruppo ad avere una forza differente sul mercato radifonico.

Per chi si volesse fare un’idea veloce dei tanti temi che questi ragazzi trattano in A piedi nudi questa la tracklist:

Il Ballo del Cantinaro

Non svegliarmi

Mario

I sogni di Alice

Marijuana

Jump

Sembra Guernica

Mare3

Canzone nuova

Suona Bombe

 

Sentiamo cosa ci dice però lentu rispetto alla loro storia e alla loro musica.

 

Voi come si visete conosciuti?

Abbiamno iniziato il progetto quando eravamo solo due cantanti, come hanno iniziato molte delle proposte degli anni 90. All’inizio volevamo parlare dei problemi sociali che c’erano negli anni in cui abbiamo iniziato.

Quindi una musica ricca di critica?

Diciamo che la nostra prerogativa è quella di fare musica con un messaggio rivolto alla colleetttività e che possa coinvolgere tutti.

Il nome?

Capirai, le prime contaminazioni che io ho vissuto e che sono legate a quei gruppi come i Sud Sound System e Bunga Bush, primi a fare Reggae, ma anche Caparezza, sono legate al mondo giamaicano tra cui Inna Di Hhetto, che vuole dire dentro al ghetto. Qui a Roma però nel ghetto non viviamo, ma dentro al cantina era un nome simpatico che potesse dare il senso del tutto. Uno spazio come la cantina che era inutilizzato e che noi potevamo metterci delle idee e creare novità. Noi quindi nasciamo da una cantina e vediamo cosa possiamo creare.

La vostra musica è una che sposa quelle delle ultime tendenze: le sonorità reggae e funky sono oggi come oggi molto popolari. Vero è che è spesso affermato come questo tipo di musica sia sempre lo stesso giro con le stesse note. Come la pensi riguardo a questo?

Sicuramente nel reggae ci sono sempre i 4 accordi e gli intervalli sono sempre quelli. Può suyonare ridondante, ma ti assicuro che, dopo 8 anni di gavetta, a Roma ci sono moltissimi artisti, che vengono anche da conservatorio, che rispetto al reggae hanno qualcosa in meno. Devi avere orecchio e aver mangiato un sacco di album reggae per poter suonare basso e batteria nel reggae. Al contempo noi non ci proponiamo con un reggae classico jamaicano. Noi vorremmo farlo nostro e trasformarlo in qualcosa di italiano. Questo non è comunque l’unico tipo ri arrangiamento che abbiamo: ci siamo divertiti anche a creare diversi suoni, melodie e quindi alternative.

Le vostre esperienze anche in Europa vi hanno aiutato a trovare un’altra chiave di lettura in questa tipologia di musica. O sbaglio?

Si. LA chiave io l’ho sempre pensata come trasportatrice di un messaggio. Cercavo di comunicaredirettamente con le persone; senza troppa poetica e giri di parole. Vero che il reggae è un testo spirtuale, e spesso si sentono artisti che trovano quello spirito. Noi siamo però motlo più concreti e molto più concetrati sulla realtà. Questo è quello che c’è: essenzialità. A me bastano due parole dirette per dire un concetto che in altre canzoni ne prenderebbe diciotto. Secondo me tra il reggae e questo tipo di messaggio c’è  una buona connessione. Poi dopo 7 anni, la scena della musica ci ha di sicuro contaminato e non so dirti cosa succederà perché è bello trasformarsi e cambiare.

Quando si arriva a parlare di questi testi però -visto che tu sei sì il cantante ma anche lo scrittore- si tende a cantarli con un influenza dialettale. Questa caratteristica è una di quelle che forse più mi ha colpito. Infatti cantate riprendendo quelli che sono tutte le qualità del reggae – tranquillità, rilassatezza, critico e sarcastico che tocca i punti giusti in modo pungente– però perché rimanere legati alla lingua italiana?

Io ho sempre scritto sempre cercando di arrivare ad un messaggio particolare. Infatti musica e messaggio vanno di pari passo nella mia testa. La caratterizzazione della mia musica viene solamente dal romanesco e con questa influenza io posso cercare di riportare le persone che lo ascoltano a riportarsi su quelle realtà a loro già note. Abbiamo però provato anche con l’inglese, che è da sempre molto usata in questo ambiente. Noi invece siamo rimasti sull’italiano perché ho semplicemente scelto. Non sto dicendo di avere la verità in mano: sicuramente l’inglese sarebbe più accessibile per l’Europa. Farci capire però, soprattutto dagli italiani nostri gioavani coetanei, è il nsotro vero itnento. Perché noi in italia non abbiamo spazio per esprimerci in tutti gli spazi: a Roma ci saranno milioni di spazi inutilizzati e abbandonati che noi utilizzeremmo per farci serate. Gli eventi hanno sempre più i bastoni fra le ruote, e la reggae si muove più sulla strada, dove si possono coinvolgere persone per farsi ascoltare.

Infatti in “A piedi nudi”, nel brano “Il ballo del cantinaro”, si può comprendere come voi siate gente di strada, perché una buona critica ai talent è presente.

Certo. Ci sta una critica. Io penso che ok usare il social e mandare un messaggio, ascoltiamo la musica. Ma non fermiamoci solo a quello che abbiamo su quel telefono. Guardiamoci ancora negli occhi. Cerchiamo di andarla ad ascoltare davvero la musica. Poi alla fine è uguale cantare una canzone sul palco o attaccare un adesivo con un loghetto che ti sei invantato te per strada; entrambe le azioni hanno lo stesso principio: quello du muovere una sorta di subcultura. Vai giù per strada. Attaca gli adesivi. Non rimanere chiuso in pigiama a casa. C’è bisogno di uscire e dimsotrare la propria vitalità.

Un ultima domanda: parlami dei “sogni di Alice”. E’ una canzone che spicca.

Pensa che noi siamo tre cantanti: io, black, Viola un po’ più soul e Jimmy che invece è più pop, e colui che ha cercato un punto di vista più vicino alla radiofonia. I sogni di Alice era pensato inizialmente come il signolo di Viola, ma con la produzione di Magista è stato un bel alvoro, difficile e lungo, che ha trasformato questa canzone in un ibrido tra pop e soul e reggae. La canzone poi è nata da sola e siamo fieri del risultato perché per Inna Cantina è il risutlato di un processo di sperimentazione che non mi sarei mai immaginato prima. Il bello della musica è proprio questo però: divertirsi e giocare.

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