Cucchi ed il dolore traditore: Sulla mia pelle

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Sulla mia pelle, film del 2018 diretto da Alessio Cremonini, si rivela dal trailer un film dall’aspetto crudo, a tratti spietato e diretto e per questo non propriamente adatto alla visione di tutti. Film d’apertura nella sezione “Orizzonti” della 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, mostra un protagonista che sembrerebbe vivere due vite distinte: in una figlio di un geometra, nell’altra spacciatore e tossicodipendente.

La trama

Il giovane Stefano Cucchi viene fermato la notte del 15 ottobre 2009, dopo essere stato visto dalle Forze dell’Ordine passare qualcosa di sospetto ad un presunto amico in auto, viene così perquisito e sequestrato delle confezioni di hashish e cocaina di cui era in possesso. Scortato dai Carabinieri, in caserma viene messo in custodia cautelare dove ha inizio il suo calvario.

Il mattino dopo Cucchi si presenta in tribunale con delle evidenti ecchimosi e traumi al volto, soprattutto nel profilo sinistro, e con evidenti difficoltà nel parlare e nella deambulazione. Le condizioni del ragazzo, ora nel carcere di Regina Coeli in custodia cautelare, peggiorano. Visitato e trasferito al Sandro Pertini per fratture a due vertebre ed ulteriori lesioni rinvenute, Stefano accetta le condizioni della struttura di medicina penitenziaria dove non ha l’ora d’aria, non c’è passeggio, sono presenti solo camere singole e non è sempre possibile fumare.

Un detenuto, che in seguito scopriremo chiamarsi Marco, nota le condizioni in cui è stato ridotto il ragazzo e consiglia di consultare il proprio avvocato e raccontare l’accaduto. Quando Stefano decide di rivelare cosa realmente sia successo quella notte di detenzione è troppo tardi, il suo corpo è oramai spossato ed estenuato dal dolore così che la notte del 22 ottobre viene dichiarato il decesso.

 

 

A Venezia sette minuti di applausi. Fino allo scadere dei cento minuti nulla è inverosimile, nessun dettaglio dell’ordinario viene censurato. Nulla viene lasciato al caso: dall’inizio la musica nelle sue cuffie, i salti della sua corda, sono vissuti dallo spettatore come dal protagonista. Il silenzio. I frastuoni di Roma, la sua città, che da sempre fanno da sottofondo alla sua vita, e poi di nuovo silenzio.  La perenne impressione che non ci sia nulla di studiato e recitato, che non sia un’opera cinematografica ma un reale viaggio dello spettatore di sette giorni, vividamente vissuti in prima persona, attraverso lo sconforto, la rabbia, i drammi familiari e le ingiustizie di una società che mai è come ci si aspetta.

 

La complessità del personaggio e l’eccellente interpretazione

L’intricata psicologia del personaggio è il secondo pilastro, dopo la rappresentazione della realtà, che rende il film un’esperienza concreta.

Diviso lui, diviso il film. Da una parte si fa la conoscenza di uno Stefano insicuro che ricerca l’approvazione del padre (“Oggi ti sono piaciuto?”) e le attenzioni della sorella, per pochi secondi visto anche in una veste di cattolico praticante. Dall’altra un appassionato di boxe con una dipendenza da sostanze stupefacenti.                        Esattamente come la personalità del ragazzo ha la capacità di scindersi in due, così avviene anche al film. Prima dell’arresto era lui a guardare e lottare con il mondo, la mattina dopo era il mondo a fissarlo con occhi increduli e a scontrarsi con lui. Lo sguardo inquieto di un ragazzo che ancora si fa spazio nella vita è stato protagonista per i primi minuti, lasciando subito il posto alle occhiate curiose dei Carabinieri di Tor Sapienza, degli infermieri e dei familiari impressionati che vanno in primo piano.

Rifiuta le visite mediche e non si lascia avvicinare, Stefano ha perso fiducia nella società dopo il tradimento dell’amico e le percosse di cui non ha parlato, giustificando lividi ed ematomi con la caduta da una scalinata. La paura di un’eventuale vendetta ma soprattutto la vergogna, sia da uomo che da pugile, di aver ricevuto impossibilitato a difendersi sono i due motivi principali per cui è stato fatto silenzio da parte di Cucchi.

L’abilità di Alessandro Borghi è stata proprio nell’aver saputo interpretare al meglio un figlio, un amico, un imputato, un uomo divenuto un solitario e martire attraverso le cento e più sfumature del carattere di Stefano. Una vastità di espressioni che solo Borghi sarebbe stato capace di impersonare perché ora al suo posto, nei panni di Cucchi, non ci si immaginerebbe nessun altro se non Borghi stesso.

 

Sono tre giorni che parlo da solo, non ci speravo più”. Il finale

Giorno dopo giorno, lentamente scompaiono non solo il sonno e l’appetito ma soprattutto il senso di lottare per la propria vita.

Incapace di vedere i familiari per cause di forza maggiore, Marco, detenuto di Rebibbia, sembrerebbe essere l’unico conforto nel periodo di detenzione. Attraverso soltanto il suono della sua voce Stefano trova sollievo e sostegno nell’uomo, il quale confessa di aver vissuto ciò che anche il protagonista ha dovuto subire. Anche se non sembrerebbe essere sempre presente, viene però percepito dal ragazzo come un suo eguale, una sorta di intermediario tra lui ed il mondo, tanto da spingerlo a confessare i suoi incubi ed essere aperto al consiglio.

Stefano sente il suo corpo deperire a rilento iniziando una battaglia quando è oramai troppo tardi per il suo stato di salute. Richiedere un colloquio con il proprio avvocato gli risulta impossibile, il pensiero dell’essere un ostacolo nella vita dei propri cari diventa snervante, il suo corpo non gli risponde più: la rassegnazione è tale da tenere sul petto la Bibbia ed autodefinirsi sperante, piuttosto che credente.

Il protagonista accetta l’incombere della morte cercando la vicinanza dell’amico che purtroppo non risponde al suo appello, e lascia questo mondo da solo. Lo stesso mondo che comunica ai familiari il decesso di Stefano Cucchi attraverso le carte per il consenso all’autopsia, lo stesso mondo che per sette interminabili giorni ha guardato il suo viso sfigurato conoscendo i fatti e restando in silenzio, mentre tutto accadeva.

 

Un atto insurrezionale

La morte di Stefano Cucchi è un caso di cronaca nera divenuto protesta. Protesta contro una burocrazia che ha in sé infondata la convinzione di saper riconoscere cosa sia giusto e cosa sbagliato, di sapere chi meriti cosa e chi meriti altro. Lo stesso Max Weber aveva denominato “burocratizzazione universale” l’atto degli apparati burocratici di sottomettere gli uomini al potere attraverso leggi da loro stessi stilate, compromettendo così il loro diritto alla libertà e come abbiamo visto in questo caso, ai diritti umani e alla vita.

Le immagini di Ilaria Cucchi protestante in piazza, l’audio originale di Stefano al processo della mattina del 16 ottobre, dovrebbero spronare ad una sommossa morale ed un indignazione che non restino solo nei discorsi da bar, ma che siano palesati, ascoltati e presi in seria considerazione dallo stesso Welfare State (tradotto letteralmente dall’inglese come Stato del benessere) che ha la finalità di abbattere ogni diseguaglianza, di garantire e fornire diritti e servizi sociali che a Stefano però sono stati frequentemente negati.

 

Qui il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=ep-O2Nl0P0s

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