2019 in musica: 10 cose da dimenticare di quest’anno

Il 2019 in musica è stato un anno con tanti pro e contro. In questo articolo ci soffermiamo sui contro, sui motivi per dimenticare questo particolare anno.

0
2713

Anche il 2019, come ogni anno, ha evidenziato cose positive e negative circa il mercato musicale. Come sempre, infatti, abbiamo avuto svariati album di artisti affermati o emergenti che hanno talvolta soddisfatto e talvolta deluso, abbiamo avuto performance di grande qualità e altre dimenticabilissime, abbiamo avuto strategie promozionale di alcuni artisti che abbiamo apprezzato ed altre che ci hanno fatto rimpiangere i tempi in cui il mercato musicale era mille volte più lineare ed organizzato. Per questo abbiamo deciso di dedicare due articoli sul 2019 in musica: uno su 10 cose di pregiato valore che ricorderemo con felicità e uno su 10 che invece cercheremo di dimenticare con tutte le nostre forze.

Riassumere il 2019 in musica con un paio di articoli è difficile, molto materiale di grande qualità è rimasto fuori da questo articolo e molto materiale di pessima fattura rimarrà fuori da questo, tuttavia spero di riuscire a dare un quadro quanto più completo possibile dell’annata: let’s go! CLICCA QUI PER L’ALTRA PARTE DELL’ARTICOLO

2019 in musica: 10 punti negativi dalla 10 alla 1

10. Jason Derulo più interessato a promuovere la sua “anaconda” che la sua musica

Nel mondo della musica, tutti i cantanti ben messi fisicamente (donne o uomini che siano) hanno sempre usato la carta della sensualità per autopromuoversi. E’ un dato di fatto, e nel 2019 nessuno si scandalizza se Jason Derulo, che ha sempre messo in bella mostra i suoi muscoli in tutte le occasioni, posa in boxer su Instagram mettendo ben in vista la sua dotazione. La vicenda è diventata anzi comica quando la foto del bel cantante è stata censurata da Instagram, e lui ha poi ribattuto stizzito attraverso la foto censurata che abbiamo allegato qui. Il problema sta in tutto il resto.

Ebbene, quest’anno Jason Derulo ha pubblicato della musica: prima vari singoli e poi, finalmente, un EP di 6 tracce, il suo primo progetto organico dal 2015. Complice anche l’impegno sul set del musical Cats, Jason non ha tuttavia speso molta energia nella promozione di questo materiale: quando invece questa foto è diventata virale da sola, l’artista ha immediatamente colto la palla al balzo ed ha immediatamente iniziato a concedere dichiarazioni sul contenuto di quei boxer a qualunque testata. Non contento, l’interprete ha rifiutato l’offerta di un sito hot non perché “degradanti per un artista” o per motivi del genere, ma semplicemente perché “mezzo milione di dollari non era abbastanza”.

Tutta questa vicenda si è svolta, purtroppo, appena dopo la pubblicazione dell’EP: ciononostante, Jason non ha fatto assolutamente nulla per promuovere il disco in questo frangente, dimostrando quindi di non provare interesse alcuno nei confronti della musica che aveva appena rilasciato. L’attenzione mediatica su quella che Derulo ha definito “la bestia” è stata veramente immensa, eppure l’artista non ha fatto nulla per deviare questa attenzione sulla sua “arte”: un esempio orribile che potrebbe creare emuli in futuro. Il problema, lo ripeto, non è la foto (non è un problema nemmeno che un cantante posi senza nulla addosso, a mio avviso) ma l’atteggiamento generale è veramente sconfortante.

9. Il successo spropositamente alto di due nuovi Old Town Road e Billie Eilish

In tutte le annate capitano fenomeni di un successo spropositato, magari anche bei brani che tuttavia vengono trasmessi dalle radio così tante volte da dare la nausea. Questo è sicuramente il caso di “Old Town Road” di Lil Nas X: un ottimo brano, che mescola con intelligenza country e hip-hop, ma che sicuramente non meritava di trascorrere quasi 5 mesi alla vetta della classifica americana. A mio avviso, un brano del genere che arriva alla 1 può anche starci, ma sapere che una traccia che comunque non dà nulla di trascendentale sarà per sempre affiancato a grandi capolavori di artisti come Mariah Carey in base ai risultati ottenuti non è propriamente positivo. Ciononostante auguro a questo interprete il meglio, e spero che il successo incredibile della sua signature hit non ostacoli il suo futuro percorso.

Parlando di successo spropositato, il vero problema del 2019 non è però Lil Nas X, anzi. Un fenomeno che proprio non riesco a spiegarmi in questo senso è quello di Billie Eilish: bella presenza scenica e stile particolare, certo, ma voce piatta, anonima, priva di spessore e uno stile che per quanto particolare risulta incredibilmente martellante già al secondo ascolto. Però Billie Eilish piace, piace molto di più di tanti cantanti impeccabili che invece non riescono ad ottenere il benché minimo riconoscimento dal grande pubblico, e così il suo album di debutto ed i relativi singoli hanno ottenuto numeri veramente incredibili, che vanno molto al di là della media delle vendite del 2019.

Un album come quello di Billie Eilish è, secondo il mio gusto personale, assolutamente ispido. Forse è una questione di gusti e basta, è vero, ma una voce del genere associata ad un ritmo troppo invasivo e martellante proprio non mi lascia alcuna sensazione positiva addosso, e pensare che questa ragazza sta ottenendo i risultati che in passato hanno ottenuto debuttanti con ben altre voci e stili musicali dotati di una grinta ed un’emozione diverse è a mio avviso sconfortante. Il problema, in sintesi, non è che Billie Eilish abbia successo ma che ne abbia in proporzioni tali da passare come il meglio della sua generazione. Vedremo se anche in futuro sarà ricordata come tale.

8. La Sony punta sulla peggiore fra le Fifth Harmony: Normani

In seguito alla fuoriuscita di Camila Cabello dal gruppo, le Fifth Harmony sono durate solo un altro album: successivamente, tutte le ragazze sono andate per la loro strada, tutte rimanendo sotto l’ombrellino della Sony. In passato, spesso in situazioni del genere tutti gli ex componenti del gruppo hanno ricevuto, almeno in una prima fase, tutti le stesse possibilità: basti pensare ad esempio alle Spice Girls, tutte autrici di un album appena l’esperienza del gruppo aveva avuto fine. Con le Fifth Harmony, purtroppo, le cose non sono andate in questo modo.

Per quanto tutte abbiano avuto qualche singolo forte dalla propria e inciso qualche collaborazione, la maggior parte degli sforzi si sono concentrati solo su una: Normani. Se per le altre c’è stata praticamente solo una grande collaborazione a testa, per lei c’è stata invece la possibilità di incidere più e più duetti con grandi star che sono diventati delle hit: questo perché la ragazza è la classica cantante bravina se associata ad altri ma fortemente anonima vocalmente, che non può reggere un brano completamente da sola ma che fa bene la sua parte se supportata da cantanti più particolari. La Sony ha tuttavia pensato che le sue fortissime capacità sceniche bastassero per compensare il timbro anonimo, e che quindi le cose potessero continuare bene anche spingendosi verso una propria era discografica che non si basasse più solo per duetti.

Per questo motivo, Normani ha continuato ad avere grandi possibilità: musica da solista molto forte, performance ovunque, eppure nessun frutto positivo è arrivato da ciò. La sua grinta sul palco e nei video non attecchisce certo in radio o su Spotify, e ad oggi gli investimenti fatti su di lei non hanno fruttato molto. Nel contempo, per sue colleghe molto più dotate vocalmente non ci sono stati affatto gli stessi sforzi: qualche performance in più per Ally Brooke, ma Dinah Jane e Lauren Jaregui hanno avuto la possibilità di pubblicare pochi singoli forti a testa senza nemmeno promuoverli, il tutto sebbene le ragazze possedessero le doti vocali giuste per farsi notare. E’ lecito pensare che se gli sforzi fossero stati indirizzati diversamente, forse, qualche talento si sarebbe affermato davvero invece di perdersi nella giungla dell’industria musicale.

7. Ultimo e le orrende polemiche post-sanremesi

Ultimo è sicuramente una realtà forte nel mercato musicale odierno: un ragazzo amatissimo dalle folle, bravo vocalmente, autore di molti buoni pezzi, artefice di un successo a tutto tondo. Un ragazzo di periferia, che in quanto tale ha sempre amato definirsi “l’ultimo fra gli ultimi”. Bene, peccato che quando è arrivato secondo fra i primi a Sanremo tutto ciò che è uscito dalla sua bocca ce lo ha dipinto in maniera diversa, mostrando un ragazzo fortemente arrogante, con un astio immotivato contro una stampa che fino a quel momento non l’aveva nemmeno mai trattato particolarmente male, e soprattutto che non si faceva scrupoli di sminuire apertamente un Mahmood che in quel frangente era solo un esordiente, e che nemmeno a successo conquistato ha poi risposto a polemiche e provocazioni.

La polemica fra Ultimo e giornalisti, Ultimo e Sanremo, i fan di Ultimo e tutto il mondo è durata mesi, ma quel che è peggio si è mischiata in maniera indecente con la politica. Esponenti politici che ormai vivono questo mestiere come se fosse quello di influencer si sono buttati nella mischia, hanno fatto del “mezzosangue” Mahmood un simbolo da abbattere per rendere onore al “volere degli italiani” che avrebbe dovuto rendere un “vero italiano” come Ultimo vincitore del festival. A quel punto, anche lo stesso Ultimo è diventato vittima di un gioco più grande di lui, anche lui si è beccato insulti che non meritava: si è creata un’incredibile e assurda rissa nel mondo del web, in cui a vincere sono stati solo dei burattinai a cui non interessa nulla dell’arte, ma solo il far parlare di sè.

Col senno di poi, non credo che Ultimo risolleverebbe un simile polverone: penso che anche lui abbia imparato una lezione importante, e il fatto che le polemiche non abbiano spento il suo successo è sicuramente positivo: la musica deve venire prima di tutto. Il problema, dunque, è stata la gestione della vicenda da parte di certi politici, dei loro fan (perché si, ormai anche in politica ci sono i fan) e dei media a loro complici. E vedere la musica sminuita a questo, a una mera arma di propaganda, ha fatto male a noi tutti.

6. Ologrammi in un tour: un’industria che barcolla ma non molla

Sono molti anni che l’industria musicale ha il brutto vizio di sfruttare il nome di grandi divi morti per macinare denaro. Passi il rilascio di musica che l’interprete aveva dato chiara istruzione di rilasciare, passi perfino attualizzare materiale che per pochissimi passaggi non aveva completato l’iter di inclusione in un album, ma in questi anni è diventato sempre più frequente realizzare album postumi con materiale visibilmente sottotono, che probabilmente l’artista non avrebbe mai voluto vedere pubblicato. Il problema grave, però, non è tanto questo, ma il pallino che l’industria ha sempre di più per una forma indecente di sfruttamento del nome dei divi defunti: gli ologrammi in tour.

Quest’idea scellerata, del resto, non si capisce bene per quale motivo dovrebbe essere fruita: si tratterebbe di musica in playback, al massimo audio rip di performance reperibilii tranquillamente online, e di un’illusione ottica dinanzi a te che non raggiungerà mai la capacità di incarnare davvero quella che era la presenza scenica di un’artista. Ma soprattutto, la bugia di un voce che non viene davvero dal corpo che hai davanti si percepisce, c’è poco da fare. E’ difficile immaginare che degli artisti avrebbero mai potuto desiderare che un’illusione da prestigiatore cantasse la loro canzoni al posto loro, ma alle case discografiche non importa.

Che l’idea non piacesse molto al pubblico era ormai scontato: i tour degli ologrammi di Selena e Amy Winehouse, entrambi annunciati nel 2018 e programmati per quest’anno, sono stati rimandati a data da destinarsi per “problemi tecnici” che nascondono, probabilmente, la scarsità dei biglietti venduti. Ciononostante, invece di recepire il messaggio questi mesi ci sono stati sforzi per mettere su un altro tour con ologramma, quello di Whitney Houston: annunciato per il 2020, esso simboleggia una pratica a mio avviso barbara che ai piani alti si sta cercando di portare avanti a tutti i costi. Chissà cosa direbbero gli artisti interessati se potessero parlare ancora…

5. Le nomination dei Grammy: gli Oscar della musica non esistono più

I Grammys hanno sempre avuto attorno a sé un’aura diversa rispetto agli altri premi: certo, a vincerli sono quasi sempre stati artisti di successo, ma comunque fino a qualche anno fa erano sempre stati assegnati seguendo criteri qualitativi tali da renderli una vera e propria garanzia. Per questa ragione, oltre che per il fatto che ad assegnarli fosse la stessa istituzione che assegna gli Oscar, i Grammy sono sempre stati considerati come “gli Oscar della musica”. Mentre gli Oscar rimangono sinonimo di indiscutibile qualità, però, per i Grammy non vale lo stesso.

Sono ormai anni, infatti, che i criteri con cui vengono fatte le nomination prima e con cui vengono assegnati i premi dopo sembrano cambiati. Chi un tempo vedeva in questi premi l’unico baluardo di meritocrazia in musica ultimamente si è dovuto ricredere, ma mai erano stati raggiunti i livelli di quest’anno. Sarà che lo scorso anno questo trend negativo era stato invertito, e quindi un ritorno sulla via della decadenza è stato percepito ancora di più quest’anno, fatto sta che mai come ora le nomination per gli imminenti Grammy sembrano fatte coi piedi, come se gli unici criteri considerati fossero le vendite e l’essere Beyoncé la notorietà.

Detto ciò, c’è davvero molto da analizzare andando nel dettaglio delle singole categorie: per fortuna è un lavoro che ho già fatto, a cui potrete accedere semplicemente cliccando sul titolo di questo paragrafo. Anticipo soltanto che le uniche categorie a salvarsi sono quelle che riguardano generi un attimo più underground: più un genere musicale è attualmente di massa, più ciò che ci gira intorno a livello di premi et similia è sindacabile.

4. Mentre viene premiata come artista del decennio, Taylor Swift esegue una performance raccapricciante

Dopo che nello scorso decennio avevano smesso di farlo, quest’anno gli American Music Awards hanno deciso di ricominciare ad assegnare il premio di artista del decennio. La scelta è caduta su Taylor Swift, cantautrice che effettivamente ha ottenuto un successo molto imponente per tutta la durata del decennio, ma che secondo molti non ha la stoffa per essere paragonata con chi ha vinto questo premio in passato. Al di là del meritare o meno un premio del genere, che francamente pure io avrei avuto difficoltà ad assegnare in un decennio in cui sono pochi coloro che hanno avuto un’attività costante dal suo inizio alla sua fine, ciò che ha lasciato tutti con l’amaro in bocca è il medley celebrativo che la diva ha tenuto in concomitanza alla vittoria.

Per quanto le battaglie legali per poter cantare la sua vecchia musica siano state sicuramente una fonte di stress, lo spettacolo che abbiamo visto su quel palco non è comunque giustificabile. L’artista, premiata come il meglio che questo decennio ci ha offerto, ha infatti cantato malissimo, stonando su un brano vocalmente semplice e lineare come “Love Story”, ma soprattutto non sembrava più interessata nemmeno ad interpretare le parole dei suoi brani vecchi. Proprio “Love Story”, infatti, oltre ad essere cantata male è stata anche seguita con un linguaggio del corpo estremamente piccante che proprio non si addice ad un brano soft e romantico. Un po’ come se Madonna cantasse “Frozen” con la scenografia di “Give Me All Your Luvin”, o come se Christina Aguilera cantasse “Say Something” con la coreografia di “Dirrty”.

Per una da sempre seguita proprio per l’intensità dei testi, e dotata di un fanbase che batte spesso su ciò, questo è stato uno smacco davvero evitabile. Oltretutto, per il resto della performance le cose sono andate giusto leggermente meglio: Taylor ha lasciato che colleghe messe leggermente meglio vocalmente la aiutassero, ha optato per il pre rec in molti brani e nel complesso il suo show non ha retto il paragone con nient’altro che abbiamo visto quella sera – per dire, basta prendere la performance Kesha per oscurarla, non c’è bisogno nemmeno di citare Toni Braxton. Immaginate quindi gli artisti a casa, magari da anni fuori nel mainstream pur essendo molto talentuosi, che vedono uno show simile da parte dell’artista del decennio… meglio non pensare a come possano essersi sentiti.

3. Album procrastinati sempre più all’infinito, e quelli che arrivano dopo anni si rivelano compilation fatte male

Ora che il mercato musicale non ha più i soldi di un tempo, l’organizzazione è calata fortemente: le ere ben strutturate sono molte di meno, i tempi di pubblicazione di un album sono spesso biblici e tante volte l’idea di pubblicare un album non viene nemmeno presa in considerazione. Quel che è peggio, però, è che talvolta nemmeno percorsi che originariamente erano programmati per portare ad un album arrivano alla loro fine nei tempi prefissati. Questo genera due importanti conseguenze: prima un’attesa estenuante per un progetto che avremmo dovuto ottenere in qualche mese e poi un disco che, venendo rilasciato con tempistiche malate, perde la sua qualità iniziale.

Due esempi di questa pratica sono Meghan Trainor e Liam Payne, artisti che proprio in questa annata hanno mostrato i due diversi aspetti di tutto ciò. Per Meghan abbiamo avuto infatti un album che avrebbe dovuto uscire a inizio anno ma che, per via di singoli dai numeri deludenti, è stato rimandato di un intero anno. Ciò comporta non solo delusione da parte dei fan, ma uno sforzo creativo che viene trattato quasi come se fosse spazzatura, un’idea che viene ricacciata via nelle pieghe del tempo senza alcun rispetto per chi l’ha congegnata. Quello di Meghan è solo un esempio: sono molti gli artisti che stanno subendo questo trattamento, e tutto lascia pensare che saranno sempre di più.

Cosa accade quando poi questi album iper-rimandati vengono rilasciati ce l’ha spiegato invece Liam Payne. L’ex One Direction aveva iniziato un’interessantissima svolta R&B nel 2017, ma per motivi mai compresi essa è stata interrotta molto presto per tornare verso un pop in cui Liam non rende – o almeno non senza altri cantanti con cui dividersi una canzone. Il risultato è che un percorso che anni fa si sarebbe concluso ben prima con un buon album urban ha portato attualmente ad una compilation pop senza né capo né coda, in cui sono presenti canzoni note da anni e anni e nel contempo una marmaglia di brani inediti che non sono in grado di indicare alcun concept e non c’entrano nulla col sound dei vecchi. Il futuro degli album, purtroppo, sembra somigliare sempre più a questo: uno scenario davvero sconfortante.

2. Trap e raggaeton ovunque: si salvi chi può!

Molti periodi musicali sono caratterizzati da un eccessivo predominare di un genere che, dopo un po’, inizia a scocciare profondamente chiunque non vi sia particolarmente avvezzo. A inizio decennio c’era ad esempio una dance diventata sempre più martellante e caciarona, mentre adesso questo fenomeno riguarda fondamentalmente due generi: la trap di origine statunitense ed il raggaeton di origine latina. Tolto il merito oggettivo di aver reso molti mercati meno provinciali, di aver aperto sia la mente degli europei (trap) che quella dei nord-americani (raggaeton) verso cose nuove, questo dominio sonoro ha iniziato a farsi davvero pressante.

Tolti pochi esempi (pensiamo al nuovo album di Becky G o a Rosalia nel raggaeton) questi due generi musicali offrono un copione molto triste per gli amanti della musica: voci deboli e spesso mascherate da pesanti dosi di autotune, ritmi invasivi e martellanti, spessore testuale molto spesso inesistente, produzioni tutte uguali. Non che questi fattori non possano riguardare anche altri generi (ci sono stati anni d’oro del rock in cui mille canzoni si somigliavano all’inverosimile), ma allo stato attuale tutto ciò è stato estremizzato al punto che spesso non si è nemmeno in gradi di discriminare vagamente fra un artista ed un altro, il tutto per un tappeto informe di lavori tutti uguali che lasciano sgomenti gli appassionati di altro.

Qualcuno che resiste c’è, gli altri generi sopravvivono grazie ad artisti già affermati che non seguono le mode o almeno non lo fanno completamente, ma il grosso è veramente una marmaglia di canzonette identiche e di voci preconfezionate che non offrono nessuna emozione vera con la loro musica. Il tempo sarà probabilmente galantuomo, di tutti questi interpreti ne rimarranno a galla giusto un paio effettivamente più bravi, ma ascoltare sempre canzoni uguali in trasmissioni radiofoniche e canali musicali è stato veramente brutto.

1. Il Free Britney ci ricorda quanto schifo sta dietro l’industria musicale

Quest’anno si è riproposta una vecchia faccenda che in molti avevano dimenticato, ma che ha sempre costituito uno dei rari esempi visibili capaci di raccontarci tutto il marcio che c’è dietro al mondo dell’intrattenimento. Si tratta di una vicenda che inizia nel 2007, anno in cui una Britney Spears vittima di un feroce esaurimento nervoso è costretta a concedere il pieno controllo della sua vita a suo padre per poter conservare la genitorialità dei suoi figli. Da allora, in molti hanno avuto dei seri dubbi circa la reale volontà di Britney di continuare a fare musica e ad essere una star sempre al centro dell’attenzione mediatica, ma quanto accaduto quest’anno ha davvero dell’incredibile.

Dopo la cancellazione di una residency a Las Vegas, motivata ufficialmente con problemi di salute del padre, Britney è stata oggetto di una delle battaglie legali più accese del 2019: sua madre, da anni divorziata da suo padre, ha chiesto l’annullamento del provvedimento giudiziario che la lega all’uomo. Il motivo? La convinzione che Britney vorrebbe ritirarsi da anni ma venga sfruttata dal padre e dal suo nutrito team, che userebbe quindi Britney come vacca grassa per incassare denaro a volontà, incurante di quanta sofferenza stiano causando ad una persona che vorrebbe solo vivere la sua vita. In tribunale le cose non sono andate come l’ex signora Spears avrebbe voluto, ma le parole spese da molte persone che hanno lavorato con Britney in passato (tra cui il fotografo David LaChapelle) hanno convinto un po’ tutti che un forte fondo di verità ci sia.

Per quanto noi tutti non possiamo avere prove, che una persona reduce da un esaurimento nervoso non vokesse più abere una vita pubblica è più che plausibile, così come lo è che un terzo voglia godere di ottimi e facili guadagni derivanti dal nome “Britney Spears”. Questa vicenda rattrista tutti noi che vorremmo semplicemente goderci la musica e le emozioni che porta senza pensare a tutto ciò che potrebbe esserci dietro: purtroppo il male più oscuro si annida sempre dove stanno i soldi, e il mercato musicale è unavtana perfetta dove costruire simili tele. Britney non sarà né la prima né l’ultima a subire le conseguenze di tutto ciò, ed il 2019 ce lo ha ricordato con straordinaria potenza.

In ogni caso, al di là dei singoli punti, per ricordarsi del 2019 in musica ciò che conta è mettere su proprio quella musica. Vi lascio con la mia personale playlist delle canzoni che più mi hanno rappresentato quest’anno, buon ascolto.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here