Al giorno d’oggi mettere piede in un Media World, franchising simbolo della grande distribuzione in ambito elettronico, risulta molto curioso se ci si spinge a passo deciso verso il reparto dedicato al supporto sonoro: il numero di CD in vendita è decisamente calato se paragonato a giusto un ventennio fa e il prezzo dei piccoli dischi in policarbonato, a noi ancora molto cari negli anni ’90 e nei primi 2000, risulta alla portata di qualsiasi tasca. Chi scrive, non più di un anno addietro, è riuscito a portarsi a casa il Greatest Hits del gruppo inglese Whitesnake e il primo album Passion And Warfare del virtuoso chitarrista Steve Vai (due titoli di contenuto musicale decisamente elevato) spendendo meno di 10 euro. Cosa è capitato allora a quel formato che tanto aveva fatto sognare gli ascoltatori alla sua prima uscita pop con l’album The Visitors degli Abba (in realtà anticipata da un’uscita in ambito classico che riproduceva la Sinfonia della Alpi di Richard Strauss, diretta da Herbert Von Karajan) risalente a ormai 37 anni fa? E come mai si sta assistendo, in un’epoca come la nostra dominata dalla fugacità dell’ascolto e dal concetto «liquido»della musica, a un ritorno al formato antecedente al CD, ovvero il mai veramente dimenticato vinile?
Il Compact Disc, almeno alla sua prima uscita, mostrava poter avere le carte in regola per durare a lungo e assumere lo scettro di formato prediletto dell’ascoltatore medio: le dimensioni molto più contenute del disco in vinile, la più affidabile riproduzione sonora determinata da un minor deterioramento rispetto ai vecchi dischi e la possibilità di scorrere tra le canzoni con il proprio stereo senza dover fare gli acrobati con la puntina del giradischi, rendevano tale supporto audio maggiormente maneggiabile e appetibile per i fruitori del mercato della musica. Se consideriamo poi la maggiore capienza sonora del CD, di circa 90 minuti di durata, capiamo il perché di un iniziale incremento dell’acquisto del nuovo supporto rispetto ai vecchi, accoppiato dalle cassette a nastro magnetico, già esistenti da tempo sul mercato, con le quali ha convissuto per diversi anni in maniera egregia (comune pratica era quella di crearsi le proprie compilation copiando su cassetta canzoni o brani strumentali provenienti da CD diversi, attività in seguito realizzabile direttamente su CD vergine grazie all’ausilio del PC).
Tutto ciò ha avuto senza dubbio conseguenze nefaste per quanto riguarda il concetto di «fruizione musicale», e questo molto prima dell’avvento del Web: se l’ascolto di un vinile richiedeva un approccio quasi rituale, spesso anche condiviso in gruppo, e spingeva a assaporare il contenuto dell’album musicale da cima a fondo elevando tale compendio di brani musicali a stato di unicum indivisibile, la possibilità di saltare tra una traccia e l’altra con facilità ha causato quell’ascolto passivo e disarticolato che oggigiorno è sotto gli occhi e nelle orecchie di tutti noi. La volontà di concentrarsi sull’ascolto per carpirne i caratteri squisitamente qualitativi è rimasta appannaggio degli addetti ai lavori (musicisti, musicologi, critici musicali ecc.) e degli appassionati veri e propri, ovvero coloro che alla musica sono sempre stati, e sono tuttora, disposti a dedicare il tempo necessario a una comprensione che vada ben oltre il deprecabile rango di sottofondo in cui è stata troppo spesso relegata questa nobile forma di espressione umana.
Non che la possibilità di poter ricorrere alla musica in ogni situazione sia stata sempre e comunque negativa, intendiamoci, poiché la possibilità di inserire un CD nel lettore dell’automobile, nella filodiffusione di un ristorante o di un negozio oppure di sparare a 1000 watt il contenuto di uno dei nostri dischetti in policarbonato durante un evento politico o sportivo ha senz’altro allargato il giro degli ascoltatori, consentendo una diffusione delle sette note su più larga scala in un processo che potremmo definire come la «democratizzazione dell’ascolto»; ma tale processo di allargamento del circuito uditivo ha avuto l’esito imprevedibile del proverbiale «cane che si morde la coda»: una volta che il CD ha contribuito (non ne è il solo responsabile, l’inizio vero e proprio lo dà senza dubbio il modus vivendi sempre più frenetico ed effimero che ci ha caratterizzato e continua a caratterizzarci nell’epoca postmoderna) a una maggiore esposizione degli ascoltatori alla musica, fornendo loro lo strumento per un ascolto «a singhiozzo» limitato solo a pochi brani di un qualsivoglia album musicale, lo stesso CD ha inconsciamente dato inizio al proprio declino, spianando la strada a formati digitali compressi come gli MP3, OGG o FLAC i quali, pur avendo abbassato ulteriormente la qualità della fonte sonora, hanno consentito l’ammasso di un numero strabiliante di files audio in piccole unità mobili come i lettori portatili, tra i più diffusi dei quali vi sono stati gli Ipod. Con l’avvento poi di Internet e la messa a punto dei siti di file sharing prima e dei siti come Spotify e Amazon Music dopo, il CD ha inevitabilmente perso importanza nel modo in cui la musica viene comunemente ascoltata.
È a questo punto che arriva la rivincita del vinile: di fronte a un ascolto frammentario e insoddisfacente, coloro che per anni hanno criticato il CD per via di una paventata minor qualità del messaggio sonoro dettata dalla conversione analogico-digitale – gli stessi fruitori che, con buona probabilità, hanno contribuito anche al risveglio di una nuova coscienza ed educazione uditiva se è vero che l’interesse verso il vinile interessa oggi anche un gran numero di giovani nati nell’epoca digitale – si sono nuovamente gettati in massa verso l’acquisto di vinile, la cui diffusione non ha mai smesso di essere messa in atto grazie a diversi negozi specializzati, tanto in Europa quanto oltre oceano, nonché ai sempre più diffusi mercati dell’antiquariato, dove la fame di musica analogica e di oggetti di indubbio fascino può trovare un fugace momento di sazietà. Il CD in realtà non è finito, rimane comunque il supporto principale dove le nuove uscite discografiche vengono stampate e proposte al pubblico, il problema sostanziale è che la vendita dei CD oggi si è notevolmente abbassata a favore di un sempre più crescente ascolto in streaming per fortuna messo in regola da siti come quelli citati nel precedente paragrafo.
In conclusione, non possiamo che augurare al CD un futuro simile a quello del suo predecessore, magari fomentato ulteriormente da un nuovo senso di curiosità storica verso i diversi supporti musicali e da un’educazione all’ascolto attento e non fugace (questo servirebbe anche nei quotidiani rapporti interpersonali) che, almeno in potenza, può essere messo in atto dall’ausilio di questo magari poco fedele ma certamente duraturo mezzo di veicolazione sonora.